La Corte di Cassazione, sezione sesta penale, con la sentenza del 9 dicembre 2020 (dep. 8 gennaio 2021), n. 442, si è pronunciata sulla nuova formulazione della fattispecie di abuso d’ufficio, recentemente riformata ad opera del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. «decreto semplificazioni», convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120).
La Suprema Corte rappresenta anzitutto, nel suddetto provvedimento, che l’art. 23 del c.d. «decreto-semplificazioni» ha inciso sulla prima delle condotte abusive tipiche contemplate dal primo comma dell’art. 323 c.p., prevedendo che l’abuso penalmente rilevante non sia più quello commesso in generica violazione «di norme di legge o di regolamento», bensì quello realizzato in violazione «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
Su queste basi, la Corte sancisce che la nuova disposizione, avendo un ambito applicativo ben più̀ ristretto di quella previgente, sottrae «al giudice penale tanto l’apprezzamento dell’inosservanza di principi generali», tra cui i principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., la cui violazione è stata a lungo ricondotta dalla giurisprudenza di legittimità nelle maglie dell’art. 323 c.p., «o di fonti normative di tipo regolamentare o subprimario (neppure secondo il classico schema della eterointegrazione, cioè della violazione mediata di norme di legge interposte), quanto il sindacato del mero “cattivo uso” – la violazione dei limiti interni nelle modalità di esercizio – della discrezionalità amministrativa».
La Corte pertanto, nella vicenda sottoposta al suo vaglio, riconosciuta l’intervenuta abolitio criminis della condotta posta in essere dall’imputato in violazione di norme attributive di un potere discrezionale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.